Il vascello urtò lieve contro il molo di legno.
Legno marcio per le innumerevoli mareggiate che lo avevano colpito.
Si udì uno scricchiolio. Il mozzo lo ignorò e proseguì con la gomena fradicia tra le mani lungo il pontile, quando l'ebbe assicurata ben bene si asciugò le mani sui pantaloni, poi si tolse il berretto e i capelli, azzurri come il mare alle sue spalle, scossi dalla brezza gli coprirono la visuale.
Asciugò la fronte madida di sudore, rimise il berretto e si volse intorno.
Non c'era nessuno.
Sospirò.
Poi emise un fischio, prolungato, modulato dalle labbra sottili. Una, due, tre volte. Ancora si volse intorno, ancora il silenzio rotto solo dallo sciabordare delle onde.
Il mozzo tornò a bordo. Sparì sotto coperta. Riapparve.
Ancora emise il suo lungo fischio. E ancora il molo rimase deserto.
Il mozzo si diede da fare con le cime, le vele, le ancore. Spariva e riappariva. Ora sui pennoni, ora in cambusa. Ovunque stralci d'azzurro che fluttuavano nel vento tiepido di quel giorno solitario. Di tanto in tanto s'udiva il fischio smorzato dalla fatica. Poi di nuovo il silenzio.
Quando ogni cosa fu come doveva essere, il mozzo si sedette in groppa alla polena, prese il temperino e lo aprì. La lama, sottilissima, riflesse per un istante i suoi occhi, poi affondò nel legno della nave.
Fu un istante. Sembrò che si squarciasse il cielo. Che il mare si prosciugasse, risucchiato da quel taglio infinitesimo. Che ogni cosa in quel legno venisse assorbita, inghiottita..
Fu solo un istante.
L'istante successivo raccontava già un'altra storia..
Legno marcio per le innumerevoli mareggiate che lo avevano colpito.
Si udì uno scricchiolio. Il mozzo lo ignorò e proseguì con la gomena fradicia tra le mani lungo il pontile, quando l'ebbe assicurata ben bene si asciugò le mani sui pantaloni, poi si tolse il berretto e i capelli, azzurri come il mare alle sue spalle, scossi dalla brezza gli coprirono la visuale.
Asciugò la fronte madida di sudore, rimise il berretto e si volse intorno.
Non c'era nessuno.
Sospirò.
Poi emise un fischio, prolungato, modulato dalle labbra sottili. Una, due, tre volte. Ancora si volse intorno, ancora il silenzio rotto solo dallo sciabordare delle onde.
Il mozzo tornò a bordo. Sparì sotto coperta. Riapparve.
Ancora emise il suo lungo fischio. E ancora il molo rimase deserto.
Il mozzo si diede da fare con le cime, le vele, le ancore. Spariva e riappariva. Ora sui pennoni, ora in cambusa. Ovunque stralci d'azzurro che fluttuavano nel vento tiepido di quel giorno solitario. Di tanto in tanto s'udiva il fischio smorzato dalla fatica. Poi di nuovo il silenzio.
Quando ogni cosa fu come doveva essere, il mozzo si sedette in groppa alla polena, prese il temperino e lo aprì. La lama, sottilissima, riflesse per un istante i suoi occhi, poi affondò nel legno della nave.
Fu un istante. Sembrò che si squarciasse il cielo. Che il mare si prosciugasse, risucchiato da quel taglio infinitesimo. Che ogni cosa in quel legno venisse assorbita, inghiottita..
Fu solo un istante.
L'istante successivo raccontava già un'altra storia..